La prima Mutual Learning Conference in tema di soft skills
Un confronto fra addetti ai lavoro di diverse discipline sull’argomento ed evidenze co costruite organizzato da Diego Boerchi e da Silvia Ghisio.
Si è svolto nel mese di marzo 2021 il primo incontro di “mutual learning” sul tema delle soft skills promosso dal professor Diego Boerchi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalla sottoscritta.
E’ stata condivisa una “call” sul social network professionale a cui hanno aderito oltre duecento professionisti: docenti universitari, studenti, esperti in politiche attive del lavoro, consulenti di orientamento, di carriera, formatori, hr manager e consulenti di direzione.
Si è trattato l’argomento a partire da alcune domande intorno al concetto “soft skills”:
- Una definizione condivisa ed univoca delle competenze soft esiste?
- Quali sono gli strumenti di valutazione?
- E’ possibile sviluppare le competenze soft attraverso percorsi di apprendimento?
Ho deciso di riassumere e condividere qui sul mio blog alcuni contributi, integrando con quanto so come professionista e frutto di un diverso e precedente lavoro di co costruzione.
Avevo infatti lanciato un sondaggio su sette social network, qualche tempo fa, a cui hanno partecipato numerosi professionisti, avevo analizzato le risposte e le avevo condivise in quattro eventi fra Milano e Roma insieme a diversi autori, imprenditori e general manager di aziende che offrono servizi nell’ambito del recruiting, assessment e gestione delle risorse umane.Il perché lo feci e qualche nota bibliografica dell’epoca è riassunto qui.
Il mio contributo al primo mutual lerarning 2021 è stato ascoltare, sintetizzare ed integrare gli apporti collettivi e mi auguro abbia funzionato.
A questo link trovi il video integrale dell’iniziativa. Hanno contribuito: Davide Della Chiara, Mariangela Tripaldi, Luca Riva, Alan Mauro Vai, Cecilia Maffazioli, Alessandra Bottalini, Pier Luigi Rizzini, Stefania Pizzini, Vittorio Anfossi, Rosalba Cuffaro.
Si riporta un estratto della co costruzione di queste risposte sulla definizione di “soft skills”.
La prima questione proposta da Davide Della Chiara - psicologo, formatore e coach - riguarda la definizione di soft skills:
- Posso definirle in assoluto?
- Sono un attributo del soggetto?
- Oppure sono un’etichetta che serve in fase di matching fra domanda ed offerta di lavoro per misurarne il fit fra il ruolo ricercato e le competenze possedute dal soggetto?
In tal senso di apre ulteriormente la questione ai pesi da attribuire alla presenza o meno di una data competenza [ritenuti rilevanti per l’eccellenza di ruolo in questione] e di come misurarne la presenza in maniera predittiva.
Possiamo distinguere in base alla letteratura classica e all’esperienza di chi scrive le abilità del soggetto: attitudini, tratti e abilità che poi si esprimono in un fare esperto all’interno di un determinato contesto.
Le competenze sono proprio le abilità del soggetto espresse dentro un contesto specifico; rilevante, da questo punto di vista, osservare quanto alcuni soggetti ritenuti eccellenti nella loro performance in un contesto organizzativo, possano trovare difficoltà ad esprimere analoghi risultati, cambiando azienda, o gruppo di lavoro. Il contesto ha quindi un ruolo rilevante per la possibilità del soggetto portatore di abilità soft, di poterle esprimere al meglio.
Se consideriamo il potenziale delle persone la componente inespressa, possiamo notare come diventi urgente la diffusione nelle organizzazioni, di una cultura della consapevolezza che porta valore sia per il soggetto che per le performance del gruppo di lavoro, a patto che, poi vengano restituite al soggetto stesso insieme alla possibilità di svilupparle, alimentando in tal senso la propria employability.
Si ritiene certamente necessario definire quali competenze siano considerate centrali per l’eccellenza di ruolo e con quali metodologie osservarle, restituirle e farle crescere nel soggetto in osservazione.
Mariangela Tripaldi - Psicologa, Coach e Consulente di carriera - porta il caso delle soft skill riportate da un soggetto in fase di auto candidatura e apre il dibattito circa l’opportunità di descrivere le proprie competenze soft in fase di auto candidatura spontanea non legata ad un ruolo specifico. Si chiede anche quali strumenti possano essere più idonei per rilevare l’effettiva presenza delle caratteristiche descritte: forse il test di personalità più classico di sempre? Il big five questionnaire è in effetti il test di personalità da cui derivano la maggior parte dei nuovi strumenti che indagano fattori e tratti stabili degli individui.
Chi scrive si interroga sull’opportunità o meno di inserire auto dichiarazioni in tal senso, in quanto lo scopo del selezionatore è quello di analizzare la presenza di competenze o attributi del soggetto - in relazione ad un ruolo specifico e attraverso metodologie e strumenti diretti a verificare la congruità fra il dichiarato - e quindi eventualmente anche lo scritto - e quanto il soggetto racconta attraverso lo story telling degli episodi critici, ad esempio, rilevabili attraverso interviste B.E.I (behavioural events interviews), come ricorda anche Vittorio Anfossi che porta la sua esperienza nell’head hunting e ricerca selezione del personale, oggi anche in orientamento di carriera, attraverso esempi di domande da porre al candidato in fase di selezione.
Puoi vedere il video integrale a questo link.
Dal mio punto di vista i processi, le metodologie e gli strumenti di selezione del candidato sono molto legati alla cultura aziendale, molto differente in Italia fra le piccole e medie imprese, e le grandi aziende che spesso importano una struttura multinazionale calata poi nel contesto locale.
In relazione agli strumenti di valutazione - quali i test di personalità - porto il mio parere di chi intorno alle diverse situazioni di contesto e di processo:
nei processi di orientamento di carriera si ritiene positivo l’utilizzo di test di personalità, specialmente seguiti da un approfondito ascolto della storia lavorativa del soggetto e delle sue tappe fondamentali, e a seguito di un forte patto di lavoro insieme al counsellor. Risulta un ottimo strumento per restituire alla persona conoscenza circa le proprie caratteristiche distintive per procedere con l’indagine degli ambiti e contesti migliori (per lei) dove orientare le azioni successive.
In azienda ne ho spesso sconsigliato l’uso - a meno che - non sia presente un team di specialisti ed almeno uno psicologo del lavoro. I tratti di personalità vanno infatti legati alle competenze e queste ultime ai comportamenti osservabili per poter considerare un’analisi così in profondità. Forse troppo invasiva se non supportata da un costrutto basato sulla presa in carico del soggetto nel suo complesso (non sono come performer).
Molto meglio quindi orientarsi sull’osservazione del comportamento - più semplice da riconoscere, valutare (appropriato in base all’eccellenza di ruolo e al dizionario interno creato ad hoc) e da restituire attraverso feedback circostanziati per lo sviluppo del soggetto.
Il mercato oggi propone diversi strumenti classici, quali gli assessment comportamentali su base DISC (Marston, 1950) semplici da comprendere anche per quei manager di funzione orientati al business a alla crescita delle persone dal punto i vista della performance. I test in azienda semplificano la complessità dell’uomo al lavoro e cercano di essere predetti ausili nelle fasi decisionali come in quella che stiamo vivendo.
A questo link potrai trovare la descrizione semplice del test di cui parlo.
Tornando alla nostra esperienza di Mutual Learning arriviamo al contributo di Luca Riva - Esperto politiche del lavoro presso Comune di Milano- che offre la definizione di competenza emotiva citando Goleman: l’autoconsapevolezza, quindi, è alla base di tutto. Come non essere d’accordo con lui?
Luca prosegue nella sua interessante trattazione parlando di tutti e quattro i pilastri della teoria di Goleman:
- Consapevolezza di Sè
- Presenza nelle proprie azioni
- Consapevolezza della relazione sociale
- Qualità della gestione delle relazioni
A suo modo di vedere è impossibile apprendere queste dimensioni attraverso un percorso logico razionale. Propone soluzioni integrate alla mindfulness abbinato ai percorsi di consulenza di carriera. Trovi il suo contributo completo al minuto 45 del video integrale dell’intervento.
Si ritiene molto importante nei vari contesti citati: orientamento di carriera, selezione, development center, ouplacement, avere un modello di riferimento e dotarsi di strumenti e batterie di test validati scientificamente e le cui finalità vanno condivise col soggetto che ci autorizza ad indagare circa le sue caratteristiche, sempre riferite ad un contesto, ad un patto specifico e ad un sistema di valutazione o autovalutazione congruente con quanto si cerca di analizzare e rendere consapevole.
Cecilia Maffazioli - Consulente di carriera, orientamento professionale e facilitatrice metodo Lego® Serious Play® - porta la sua esperienza in tema di orientamento professionale, nelle politiche attive e accompagnamento al lavoro delle persone appartenenti alle categorie svantaggiate che, pur non conoscendo il significato di soft skills sono consapevoli delle caratteristiche idonee a ricoprire determinati ruoli in organizzazione.
Si chiede se la consapevolezza da sola basti a garantire performance elevate:dal punto di vista di chi scrive da sola non basta; servono infatti motivazione finalizzata e desiderio di riuscita in un contesto lavorativo specifico.
Quali attività formative/consulenziali riguardanti le soft skill possono essere maggiormente utili ed efficaci con questo target? Forse il counseling e il coaching - tecniche che lavorano sia sulla persona che sul ruolo, possono essere maggiormente efficaci con queste popolazioni, rispetto alla classica situazione di apprendimento d’aula, i presenza o a distanza. In alternativa dal mio punto di vista la formazione esperienziale può risultare efficace, anche per le dinamiche di team.
Si ritiene in ogni caso indispensabile fornire stimolo, consapevolezza e supporto sulla distinzione fra il “chi sei e che cosa porti nei luoghi di lavoro” - mai tutto… anche se molto, my two cents.
Ricordo che oltre alla definizione delle competenze core per ogni ruolo, si debbano descrivere i comportamenti osservabili indicatori della presenza o meno della competenza sottostante e che ogni intervento di valutazione debba essere accompagnato dalla formazione dei manager e dei destinatari stessi: la consapevolezza, la autovalutazione e il feedback del proprio manager e della persona di hr se presente, possono tutte insieme favorire il cambiamento adattivo.
Alan Mauro Vai - operatore di politiche attive - interviene con un titolo d’effetto: “Le soft skills sono un grande inganno, dobbiamo metterci d’accordo circa che cosa intendiamo”.
Molto spesso si ha l'idea che le soft skills siano competenze da identificare e valutare in un'ottica di singole capacità o attitudini mono dimensionali o che afferiscano solo a determinate aree di ingaggio della persona nel contesto produttivo.
E' necessario invece prendere in considerazione la persona nella sua sfera olistica comprendendo come le competenze trasferibili appartengano ad un modo di relazionarsi dell'individuo nei contesti sociali più variegati, costituendo di fatto un modo di affrontare la complessità del contemporaneo, nella sua accezione VUCA.
A suo parere una visione sistemica delle soft skills consente di cambiare punto di vista su di esse in azienda sia nell'ambito della valutazione delle componenti soggettive della risorsa sia nella definizione del loro sviluppo e della loro acquisizione. Il rafforzamento delle soft skills in una visione sistemica può quindi avvenire attraverso attività creative e laterali, in contesti informali non aziendali e non professionali.
E’ del resto riconosciuto dal centro studi dell’osservatorio del Politecnico di Milano che per ogni professionalità tecnica ci sia almeno una percentuale di competenze non tecniche e prettamente soft da riconoscere e sviluppare per l’eccellenza di ruolo.
Quali sono allora le competenze adattive oggi? Ne siamo consapevoli?
Si parla di resilienza, di gentilezza, nel senso di capacità di prendere in carico, di cura e di leadership basata su paradigmi di umanità (Alessandra Bottalini).
Ci si chiede dove vengano acquiste le competenze soft e quanto sia rilevante elencarle in tassonomie.
Siamo tutti concordi che la letteratura sia molto vasta sull’argomento, come i modelli di riferimento e gli strumenti digitali o analogici validati scientificamente e utilizzati nella comunità.
Continueremo a condividere conoscenza e occasioni di confronto.
Scrivimi qui nei commenti se ti è stata utile questa condivisione!
Grazie della gentilezza.
A questo link un contributo sia tema della gentilezza al lavoro, quale competenza soft: qui ho cercato di definirla nelle diverse accezioni in cui l’ho incontrata in azienda e nella vita e anche di suggerire strumenti di valutazione qualitativa, assessment e test di personalità correlati alla presenza di questo tratto, disposizione o comportamento nelle persone.
Silvia Ghisio
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